La grande bellezza e il trionfo dell’ipocrisia

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Ieri (4/3/2014) in tv è stato trasmesso il film di Paolo Sorrentino La grande bellezza“, vincitore del Premio Oscar 2014 quale “Miglior film straniero”.
La cosa che mi ha colpito di più è stata proprio la forte volontà di voler premiare un film che “dipinge” una tristissima e patetica umanità, purtroppo tipica di parte della società italiana di oggi, appunto “straniera” per il continente americano.
Il lavoro di Sorrentino & C. (ma forse i meriti sono interamente da condividere con la “C” – Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, fotografia di Luca Bigazzi, musica di Lele Marchitelli, scenografia di Stefania Cella, ecc. ecc.) descrive con eleganza e distacco quella tapina tribù di esaltati che si inebria della falsità distribuita a pioggia dalla festaiola vita notturna metropolitana per poter nascondere, a se stessa soprattutto, una triste realtà di continui fallimenti.
Dietro le penose “maschere” degli scatenati ballerini della notte si nascondono le sventure accumulate in una tristissima vita diurna dove la finzione non riesce a trovare gli stessi spazi esplosivi conquistati invece a forza sotto la brillante luna piena romana.
E’ la stessa pietosa “umanità” che, paragonandosi alla generazione dei propri figli, certamente ben più motivata a celebrare la speranza in un possibile lieto futuro, si accontenta di postare sui social network le foto di questi incontri festaioli consegnando al parossismo la propria ipocrisia nel tentativo di nascondere i fallimenti del presente.
Quei pochissimi che hanno letto un mio romanzo di 5 anni fa (“I Draghi di Komodo”) hanno riscontrato, fra le righe del racconto, lo stesso tipo di denuncia sociale: gossip, falsità, doppiezza e rapporti di amicizia improntati più sul “comodo” e sul confronto sociale che non su sinceri sentimenti di stima e affetto. Qualcuno mi ha anche fatto rilevare (ma non sarei sincero nel dire che non me ne sono accorto) che scene come quella del funerale marchiato dall’ipocrisia, o della festa a bordo piscina con i commenti velenosi delle donne più attempate del gruppo e la sorpresa finale di gusto kitsch (nel film Serena Grandi che esce prorompente dalla torta, nel libro una modella seminuda che si tuffa in piscina dalla macchina dello sponsor) sono perfettamente interfacciabili l’una con l’altra.
Evidentemente il fenomeno della tribù danzante, che festeggia la propria falsità con i suoi aberranti spettacoli notturni, è stato notato anche da Sorrentino che però ha l’enorme merito di essere riuscito a confezionarci su un grande capolavoro di “rara bellezza”.
Sergio Figuccia

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