Deitalianizzare, l’hanno già fatto centinaia di aziende nel recente passato, fra tutte quella che ha fatto maggiore scandalo è stata la Fiat che Marchionne volle a tutti i costi (costi pagati dai lavoratori ovviamente) delocalizzare fuori dal nostro Paese.
Oggi sembra farsi avanti in tal senso anche Unicredit, azienda di credito ITALIANA di respiro internazionale, fra le più importanti in Europa.
Dal 2008 Unicredit è andata avanti a colpi di migliaia di esuberi dichiarati ad ogni piano industriale, arrivando a ridurre il personale del 50%.
Carmelo Raffa, figura storica del sindacalismo siciliano nel settore del credito, coordinatore della FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani) nonché nostro coautore, ha attaccato in merito l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier: “Si chiedono sacrifici ai lavoratori per poi constatare che sono finalizzati a riempire le tasche di soldoni …”
Chiara ed esplicita dunque l’accusa di Raffa nei confronti di una banca che da troppo tempo ha dimezzato il personale, bloccato il turnover, assunto pochissime nuove risorse, chiuso tante agenzie, sul territorio siciliano specialmente, e fatto fuggire gran parte della clientela verso Poste Italiane, il tutto non per necessità, piuttosto per pidocchiosa convenienza.
D’altra parte questa era la prevedibile “altra faccia” delle privatizzazioni applicate agli istituti di credito e fortemente volute negli anni ’90 dai vari ciampi, amato, draghi ecc. La libertà di azione, limitatissima quando le banche erano istituti di diritto pubblico, si è enormemente enfatizzata a seguito delle privatizzazioni, non trattando (almeno sulla carta) denaro pubblico, gli istituti di credito hanno potuto liberamente usufruire di enormi capitali, “privati” (bel gioco di parole) allo Stato Italiano e gestiti nel più gretto modo possibile: solo ed esclusivamente nell’interesse di soci e management aziendali, senza alcun rispetto per la clientela, né alcuna moralità gestionale.
Il credito, il vero originario motivo dell’esistenza delle banche su un territorio, è venuto meno, hanno sofferto le famiglie, le piccole aziende, e gli imprenditori e il denaro nelle casse delle banche è servito quasi esclusivamente a poter liberamente speculare sui mercati internazionali, culminando con la celebre “bolla” dei titoli tossici del 2008.
Ma torniamo a Unicredit. La FABI lamenta condizioni di lavoro difficili e una emblematica diminuzione di correntisti che preferiscono l’attività meno schizofrenica di Poste Italiane. In un comunicato del maggiore sindacato dei bancari si legge:“Pronti alla lotta contro i 10.000 tagli al personale paventati nel nuovo piano industriale. Enormi fette della Sicilia sono scoperte e senza banche, con la clientela che fugge in Poste Italiane’. Il 29 luglio la protesta con un sit-in sotto le sedi dell’azienda. Il comportamento di Unicredit Group di fronte alle prese di posizioni manifestate da mesi dalle organizzazioni sindacali in sede Abi (Associazione bancaria italiana), sugli organi di informazioni e sui social appare alquanto e fortemente provocatorio”.
Carmelo Raffa aggiunge: “Non sono ottimista sull’andamento delle trattative in Abi, prevedo un autunno caldo con azioni di protesta che non coinvolgeranno solo i bancari, ma anche la clientela. Le dichiarazioni dei vertici dell’azienda ci inducono ad aprire un fronte di conflittualità con questa azienda internazionale, ma dai connotati italiani. Ci chiediamo se il signor Mustier stia lavorando per ‘deitalianizzare’ l’azienda per poi trasferirla in Francia o in qualche altro Paese dell’Europa“.
La piaga, perché tale è per l’intera economia italiana, delle delocalizzazioni DEVE ESSERE RISOLTA. Il governo, chiunque sia al potere, ha l’obbligo morale e istituzionale nei riguardi dell’intero Popolo Italiano di bloccare questa immane porcheria, un escamotage organizzativo che le assurde leggi comunitarie non vietano proprio per il postulato di base di una comunità, ma che mette inesorabilmente alla corda l’economia della nostra Nazione sovrana (sempre sulla carta) favorendo paesi meno forti del nostro (Romania, Albania, ecc.) e i due tradizionali “schiacciasassi” dell’unione: Francia e Germania.