Caccia alla Chimera – CAPITOLO 3

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In poco tempo il Consiglio di Amministrazione di YouGlobe deliberò l’inserimento nei palinsesti del programma “Il mistero della chimera” che venne affidato a Mastrelli con l’affiancamento di Cinzia Forestieri nella conduzione, la regia fu assegnata alla mia persona.  In pratica nella nuova trasmissione venne replicato l’intero staff del TG white, compresi i tecnici e i cameraman.

Mastrelli fu incaricato dell’intera inchiesta e partì per Stoccolma la settimana seguente.
Il suo originario entusiasmo però si smorzò già al primo contatto visivo con il dottor Samuel Magnusson, che era riuscito a contattare subito dopo il suo arrivo a Stoccolma fissando un appuntamento per l’intervista nel primo pomeriggio dello stesso giorno.
Infatti si trovò di fronte ad un uomo distrutto sia nel corpo che nello spirito.

Ricevette Mastrelli disteso sul letto con un tubo che gli usciva dal naso, una bombola di ossigeno era piazzata nei pressi su un carrellino a due ruote che ne permetteva evidentemente gli spostamenti nel resto della casa, e la mascherina per la respirazione, appena rimossa, era poggiata ai piedi del letto.
Un uomo ed una donna in camice bianco, entrambi evidentemente infermieri, gli ronzavano continuamente attorno per controllare l’andamento della monitorizzazione delle funzioni vitali sugli schermi di tre appositi apparecchi posati sull’ampia scaffalatura che si ergeva sulla parete di fronte al letto.

I due paramedici si allontanarono solo quando Mastrelli si sedette accanto al capezzale di Magnusson, forse per una forma di rispetto della privacy del loro assistito.

Non era di certo la migliore delle ambientazioni per una intervista, ma dopo tutto in quella fase Walter doveva solo acquisire dati e non immagini, avrebbe potuto utilizzare poi riprese filmate di repertorio, magari quelle stesse della sua collega Lisa Betty Foster del servizio precedente, nel quale lo scienziato svedese si presentava un po’ meglio, senza tubi, mascherine e monitor… probabilmente perché allora le condizioni della sua salute erano meno gravi…chissà!

Dopo i soliti convenevoli, sempre restando coricato, Magnusson ruppe il ghiaccio parlando un italiano sorprendentemente corretto.

– Allora, signor Mastrelli … è riuscito a scoprire qualcosa su mio figlio?

– Dottor  Magnusson, non le ho promesso nulla durante i nostri precedenti contatti telefonici. Le ho solo accennato alla possibilità di un mio personale interessamento in seguito a questa intervista. Sicuramente indagherò, ma è ancora un po’ presto per avere qualche traccia sulla quale poter lavorare.

– Ha ragione, ha ragione … cosa vuole, sono così in ansia! Sono quarant’anni che non ho più notizie di Richard, ma dopo che il mio appello è stato diffuso da tutte le principali reti televisive mondiali mi si è accesa una nuova speranza … è come se mio figlio fosse sparito solo ieri mattina e io … – iniziò a tossire nervosamente – iniziassi a cercarlo solo ora.

Riprese a tossire.
– Ma in tutti questi anni non è proprio venuto a capo di nulla?

– Niente…assolutamente niente. E dire che ho incaricato decine di investigatori privati. Nulla di nulla. Richard sembra essersi smaterializzato da un giorno all’altro.

– Mi perdoni dottor  Magnusson, andiamo per ordine. Mi racconti tutto fin da principio.

Tossì ancora una volta, anche per schiarirsi la voce e, dopo essersi sistemato meglio sul letto, iniziò a raccontare la sua storia.

– In effetti per capire, o magari giustificare solo in parte le mie scelte e i miei comportamenti occorre tornare indietro nel tempo.
Nel campo dell’ingegneria bio-genetica, dopo un primo periodo pionieristico, si passò, in varie parti del mondo, ad una massiccia sperimentazione che molto spesso veniva praticata in veste segreta o per l’illegalità della materia, ancora non regolamentata nelle sue forme più spregiudicate, o per la necessità di occultare certe avveniristiche soluzioni allo spietato spionaggio industriale, pronto al facile sciacallaggio sul lavoro altrui.
Così anche io iniziai a generare centinaia di ibridi di animali, ma dopo qualche anno mi convinsi, come quasi tutti gli scienziati che lavoravano su questo tipo di ricerca, che se volevo riuscire veramente ad allungare ancora di più la vita media dell’uomo facendo sparire le principali malattie, dovevo lavorare su qualcosa di diverso.
Non più la semplice istallazione negli animali di cellule staminali per i futuri trapianti nei malati umani … ma la creazione pura di un nuovo essere, con le migliori qualità specifiche delle due componenti … una nuova razza umana supportata dalle caratteristiche genetiche più vantaggiose di qualche forma di animale superiore, meno suscettibile alle patologie non curabili dell’uomo.

Come un qualsiasi individuo innamorato del suo lavoro anche Magnusson iniziò a eccitarsi nel riesumare le sue performance scientifiche, quella sorta di larva umana che respirava a mala pena sul suo letto trasformato in giaciglio ospedaliero aveva ripreso vita.

Il suo colorito era passato dal bianco carta al sabbia chiaro, virando poi al terra di Siena scialbo, fino a registrare persino piccoli lampi di un flebile arancio tendente a un pallido rosso; tutto ciò dimostrava che sotto quella fragile e diafana pelle di ottantenne malato terminale scorreva ancora il sangue di un essere vivente, quella linfa sostanziale tipica del regno animale che fa la grande differenza col mondo vegetale.

Riuscì persino a sollevarsi leggermente dalla sua originale postura, ingannando Walter e gli stessi infermieri, nel frattempo rientrati nella stanza, sulle sue effettive condizioni di salute; per qualche minuto sembrò guarito da tutti i suoi malanni ed una luce nuova iniziò a zampillare nei suoi occhi azzurri che solo qualche istante prima, fissati com’erano in un punto del nulla, sembravano proprio quelli di un non vedente.
Dopo altri due violenti colpi di tosse, stavolta destinati più a schiarire la voce che non a tentare di smaltire un catarro quasi pietrificato nelle vie respiratorie, riprese a narrare la sua storia.


– Era già stato accertato, per esempio, che alcune famiglie di lemuri erano totalmente immuni al virus dell’HIV, che certi metateri non erano soggetti ad affezioni degenerative,  che determinati rettili avevano sviluppato anticorpi a sufficienza per neutralizzare le principali malattie infettive; mi resi conto così che sarebbe stato più efficace seguire una strada diversa, parallela a quella che qualche decina di anni dopo ha portato alla creazione degli O.G.M. , gli organismi geneticamente modificati.
Ma eravamo ancora nel 1968 e tutti gli altri miei colleghi erano ancora molto più indietro nelle ricerche, sia in ambito di clonazione animale sia di manipolazione genetica. Paragonato allo stato avanzato dei miei studi, il loro lavoro equivaleva a quello di bambini che giocavano con le costruzioni Lego.
Per me era esaltante, vivevo dell’ebbrezza di poter dominare sull’intero mondo scientifico, anche se non potevo ancora rendere ufficiali i miei risultati, l’umanità avrebbe frainteso, sarei stato giudicato un folle, come il celebre dottor Moreau del romanzo di fantascienza di Herbert George Wells.
Quindi nessuno doveva sapere, ma io dovevo andare ancora più avanti, non potevo fermarmi a quel punto, sarei stato certamente raggiunto e surclassato, nel giro di una decina d’anni, da quei miei colleghi che in quel periodo giocavano ancora col Lego.

– Mi scusi dottor Magnusson – interruppe Walter – ma ha qualche documento di quel periodo? … non so, una foto, il libro paga dove registrava i suoi assistenti … insomma qualcosa che possa sostenere e integrare il suo racconto.

– Certo! – e tentò nuovamente di sollevarsi dal letto – mah! … dovrebbe esserci un faldone con la documentazione principale … dentro l’armadio di fronte … e ..ccuh! … ccuh! … vediamo se … ccuh! … ccuh!!

Intervennero subito i due infermieri, uno fece ridistendere delicatamente Magnusson, in preda a nuovi violenti attacchi di tosse, l’altro andò ad aprire l’armadio e, dopo aver rovistato brevemente, tirò fuori una grossa carpetta con una evidente scritta in lingua svedese sul dorso: “1968-Experiment Kloning-Genetiska”.

Lo scienziato aprì con mani tremanti il raccoglitore e iniziò a tirare fuori una serie di foto e di cartelle mediche, poi anche quaderni di appunti, diagrammi e grafici che solo lui poteva comprendere, stampe di immagini prodotte al microscopio elettronico e tanta altra roba  di dubbia valenza giornalistica ma di grandissimo livello scientifico.

– Ecco questo ero io in quel periodo.

Mostrò con orgoglio a Walter una sua foto in camice nel periodo del suo massimo splendore fisico e intellettuale, e poi, a seguire, anche qualche foto dei suoi assistenti.

– Vede … questo era il mio assistente principale nell’esperimento della chimera.  Si chiama Kurt Polasacra, sempre che sia ancora vivo, ma essendo più giovane di me dovrebbe esserlo. Un biologo svedese di origine italiana, specializzato in Scienza della riproduzione applicata alle tecnologie avanzate, oggi si chiamerebbe Ingegnere biomedico o biogenetico. Ma non deve dimenticare, dottor Mastrelli, che il nostro staff era molto più avanti nella ricerca rispetto a qualunque altra equipe nel mondo … quello che è stato ufficializzato con appositi titoli accademici alla fine del secolo scorso, noi lo applicavamo già una trentina d’anni prima.
Kurt era il mio braccio destro, il mio vicario assoluto nell’esperimento. L’unico che era a conoscenza di tutti segreti di quella specifica richiesta.

– Quindi il primo sospettato del rapimento di suo figlio? – interruppe Walter

– Sì … l’ho ritenuto colpevole fin dal primo minuto successivo a quello della scomparsa di Richard, anche perché dopo qualche giorno sparì anche lui senza lasciare la ben che minima traccia. In quest’altra foto si vede invece Polasacra, a sinistra, e l’altro assistente Samuel Avrahm, un medico prenatale israeliano.

Io avevo riunito nel mio laboratorio di ricerca forse il meglio del mondo scientifico internazionale di quei tempi; in tutto sette elementi, che io, con un gioco di parole italiano applicato proprio alla parola “elementi”, definivo le “sette menti elette”, ele-menti appunto … oppure “i magnifici 7 di Magnusson”, parafrasando il celebre film.
Le foto sono molto poche perché la segretezza dell’esperimento mi aveva costretto a vietare sostanzialmente all’equipe l’uso di macchine fotografiche … allora non esisteva ancora il digitale e … ccuh! … ccuh!! pensavo che solo la … ccuh! … ccuh! … possibilità che in sede di sviluppo … ccuh! … ccuh! e stampa … qualcuno potesse vedere … ccuh! … ccuh! … ccuh! …ccuh!

A quel punto si intromisero i due infermieri chiedendo  a Mastrelli gentilmente di interrompere l’incontro perché Magnusson si era affaticato troppo.
Fecero distendere il vecchio scienziato sul suo giaciglio e Walter si allontanò congedandosi  brevemente, non prima di aver estorto a Magnusson la promessa di un successivo incontro entro qualche giorno.

Sergio Figuccia

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