La Cina è sempre troppo vicina, ora anche nell’arte

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Propongo di seguito un interessante articolo dell’amico Francesco Marcello Scorsone intitolato "Pechino, Lussemburgo e perché no anche Palermo porto franco per l’arte".
Nel fare il punto sul drammatico momento dell’arte in Italia, ed in Sicilia in particolare, Marcello lancia una provocazione per mettere sotto i riflettori la Città di Palermo, contrastando l’espansione "gialla" in occidente nel campo dell’arte che i governi europei stanno favorendo (con sgravi fiscali e tassazioni alleggerite) come hanno fatto in precedenza anche per i tradizionali mercati commerciali.

"Il porto franco (o zona economica libera) come è noto è un territorio delimitato di un paese, o comune, nel quale si godono particolari benefici di carattere tributario o daziario sulle merci in transito o in temporanea importazione. Fra non molto, per la precisione nel 2013, la città di Pechino,  in una zona di fianco al Beijing Capital International Airport, inaugurerà uno spazio di 83.000 mq dedicato interamente all’arte nel senso più ampio della parola: vini pregiati, arte contemporanea, gioielli, oggetti d’antiquariato etc. saranno messi in commercio in questa zona senza essere gravati da tributi e balzelli vari a condizione che gli acquirenti non siano residenti. I compratori potranno, a loro  volta, conservare nei magazzini o special box attrezzati della zona franca gli oggetti acquistati. Salvo poi pagare le regolari tasse al momento dello “sdoganamento”.    
Geniale direbbe un qualsiasi economista che ha a cuore le sorti occupazionali di un paese. Io immagino una situazione analoga a Palermo – che ha avuto il porto franco per lunghissimi anni e quindi di esperienza ne dovrebbe avere parecchia. Quale potrebbe essere il risvolto economico se lontanamente si potesse pensare di realizzare un porto franco nella città capoluogo regionale dedicato esclusivamente all’arte contemporanea del bacino del mediterraneo. Sappiamo benissimo quale sia, in questo momento, la portata della drammatica crisi che sta attraversando il nostro paese. Uno dei settori colpiti in modo, ahimè, irreversibile è quello dedicato all’arte contemporanea. A farne le spese sono tutti quegli artisti che, nel giro di pochissimo tempo, si sono ritrovati con affitti e tasse da pagare senza la possibilità di incassare alcunché in quanto da qualche anno non si vende più niente. Le gallerie d’arte o le associazioni culturali che hanno avuto sempre un peso determinante, gestendo una malferma economia artistica siciliana, hanno chiuso ogni fonte di possibile manifestazione espositiva giacché non vi è nessun ritorno. La stessa stampa siciliana non dà grandi spazi agli eventi che accadono in Sicilia se a questi sono interessati autori siciliani di seconda linea. 
La nuova stagione che ci apprestiamo a vivere è piena di incertezze; le notizie che arrivano da Milano o Roma, per non parlare di altre città, sono disarmanti. Quelle sparute attività artistiche di vari Enti Pubblici regionali o locali o di alcune Fondazioni sono ben poca cosa per tentare di dare un minimo di vitalità ad una realtà che ha raggiunto il più basso livello di interesse dal dopoguerra ad oggi. Troppe tasse per artisti, operatori culturali e gallerie. Se un’opera venduta in galleria costa al pubblico € 3.000, di fatto l’artista incassa €. 2.019 e su questa somma, giacché si tratta di una transazione non diretta, dovrà pagare il 21% di IVA, le tasse irpef 30-40% e, non ultima, il 4% di diritti d’autore (tassa introdotta dal 2008 che paga la galleria alla SIAE ma che di fatto viene addebitata all’artista).
Se non si provvede con una terapia di urgenza ad intervenire sul comparto delle arti figurative rischiamo di vedere naufragare un patrimonio di creatività stranoto in tutto il mondo. L’Italia, patria di uno dei più grandi movimenti artistici quali il “futurismo” che ha contagiato l’intero globo (ved. Mostra Futurismo&Futurismi – Palazzo Grassi del 1986 una mostra alla quale centinaia di artisti, 117 musei di tutto il mondo, 106 enti privati più un innumerevole numero di collezionisti anonimi hanno dato il loro contributo per la riuscita di un movimento artistico unico), potrebbe rischiare di essere travolta dal fenomeno giallo. Va considerato, a riprova che il fenomeno cinese è imminente, il fatto che da quest’anno l’imposta sulle opere d’arte importate in Cina è stata ridotta dal 12% al 6% e l’iva è solo del 17%.  Non vi è dubbio quindi che siamo entrati in un “territorio economico” in assenza di  concorrenza se si pensa che dietro questo progetto faraonico vi è l’organizzazione governativa Beijing Gehua Cultural Development Group che, assieme a Euroasia, nel 2010 ha aperto un porto franco a Singapore e un altro che vedrà la luce a Lussemburgo nel 2014.
La preoccupazione può non essere rilevante pensando ad uno sviluppo geoeconomico dell’arte contemporanea, ma se si pensa che il mercato dell’arte europea può essere negoziato a Lussemburgo, quello euroasiatico a Pechino (che nel tempo dovrebbe assorbire quello di Hong Kong) o Singapore il conto è presto fatto: abbiamo assolutamente necessità di un porto franco in Sicilia (Palermo) per potere negoziare le opere di artisti che vivono nel bacino mediterraneo. Montesquieu sosteneva che i porti franchi erano un fenomeno repubblicano. Ebbene noi siamo una repubblica ed è ora di pensare agli sgravi di imposizione fiscale." 

Palermo, 10/08/2012                                              Francesco M. Scorsone 
 

Sergio Figuccia

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