Mi piace o non mi piace, questo è il problema

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Purtroppo non risulta molto chiara alla massa degli utenti che la sfera delle reazioni e delle interazioni sui social network è del tutto simile a quella che avviene al di fuori della rete.

Il fatto di postare qualcosa sul proprio diario o sulla propria pagina non vuol dire assolutamente che a ogni pubblicazione debba corrispondere un numero di likes pari o proporzionale al numero dei collegamenti acquisiti all’interno del social (i cosiddetti “amici”).

Già il modo stesso con il quale viene generato nel tempo il proprio numero di follower (amici, amici degli amici, semplici conoscenti, amici di semplici conoscenti … e così via) la dice lunga sulla reale consistenza numerica di chi ci segue realmente, così come nell’ambito della nostra società reale conosciamo tantissime persone ma di queste solo poche sono sinceramente legate alle vicende della nostra vita.

A questo dobbiamo aggiungere che, per quanto alto possa essere il numero dei nostri “amici” sul diario di Facebook, fra di essi, INEVITABILMENTE, saranno sempre presenti:

  • quelli che mettono il “mi piace” solo sui post frivoli e dilettevoli (cani che ballano, gatti che fanno le capriole, uccelli canterini, gente che cade ecc.);
  • quelli che non vogliono darti “importanza” anche se ti visualizzano sempre sulla loro home;
  • gli ipocriti, che fingono di seguirti ma che, in realtà, di te non gliene frega proprio nulla e, dopo qualche like, si aggregano alla categoria precedente;
  • quelli che contestano qualsiasi cosa, anche l’ovvietà, e che neanche pagati sono disponibili a concederti il “piacere” di prenderti in considerazione. Questi utenti, che spesso adoperano un linguaggio scurrile ricco di parole tronche e abbreviazioni infantili, sono chiamati tecnicamente “troll” e, proprio come i personaggi delle tradizioni popolari scandinave (vedere anche il “Signore degli Anelli) sono veri e propri disturbatori, sfruttati anche da certi partiti politici per “colpire” gli avversari.
  • quelli che non leggono, per cocciutaggine costituzionale e ignoranza cronica, i post o i commenti troppo lunghi ritenendo la brevità un valore aggiunto, mentre si sa benissimo che certi concetti complessi necessitano di un certo numero di parole per essere ben compresi e non far cadere i lettori in equivoci e fraintendimenti (lo stesso social network Twitter, celebre proprio per i limiti dei caratteri imposti nei suoi post, è tornato indietro su questa scelta e sulla sua originaria policy in tal senso);
  • quelli che non partecipano attivamente al dibattito nei social, per non rischiare critiche e in genere per non esporsi, ma che studiano quotidianamente ciò che fanno o scrivono tutti gli altri che conoscono; questi sono chiamati “guardoni” e risultano forse i più detestabili perché si muovono fra l’ignavia patologica e la perversa curiosità.
  • infine ci sono quelli che frequentano saltuariamente i social e non ne conoscono bene le dinamiche, visionano pochi post degli amici e, anche volendosi inserire nel dibattito, non sanno neanche cosa scrivere.

Insomma nei social c’è la stessa variegata “fauna” che incontriamo per strada o che ci vive accanto giornalmente con le proprie personalissime convinzioni.

Certi studi scientifici hanno dimostrato che quando postiamo qualcosa sui social generiamo un rilascio di dopamina attivando una specifica area del cervello che ci da una sorta di piacere legato all’ILLUSIONE di essere popolari.

E ciò, purtroppo, genera dipendenza e talvolta delusione o depressione se prendiamo coscienza della futilità di quello che facciamo o dell’abbaglio che abbiamo preso nel ritenerci celebrità del web.

Ci sono utenti che non ottengono “like” in quasi tutti i loro post, pur avendo un numero elevato di follower e proponendo sempre dibattiti o problematiche interessantissimi. A loro non interessano minimamente questi “dati statistici” di gradimento fittizio la cui eventuale assenza costituisce solo un falso problema del quale è opportuno disinteressarsi totalmente, l’importante è invece proporre cose intelligenti e utili alla collettività, frivolezze e banalità, per quanto popolari possano risultare nel breve termine, alla fine cadono inesorabilmente nel “dimenticatoio” e nell’indifferenza totale.

Sergio Figuccia

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