Fenomenologia del mercato dell’arte contemporanea

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Propongo nuovamente un articolo tratto dal blog personale dell’amico Francesco Marcello Scorsone. E’ una interessante analisi su certi "fenomeni" del mercato dell’arte contemporanea che fa un po’ da seguito al suo precedente articolo del 16 agosto u.s. che trovate su questo stesso blog.

<< Che cosa è la fenomenologia? La fenomenologia, nella filosofia di E. Husserl, è il metodo attraverso il quale lo spirito, per mezzo di riduzioni successive, viene a trovarsi al di là degli esseri empirici e individuali, di fronte alle essenze assolute di tutto ciò che è. (Il Nuovo Zingarelli, dizionario  della lingua italiana). Ho voluto citare la definizione e soprattutto il filosofo Edmund Husserl perché, a mio parere, l’argomento che intendo trattare ha molte affinità con quanto sostiene uno dei quattro massimi studiosi di fenomenologia. Cioè l’esperienza intuitiva riferita a fenomeni che hanno punti di partenza tali da potere considerare di ricavare elementi dalle caratteristiche essenziali per affermare il principio della validità di una determinata operazione che ha come base un riflesso fenomenologico, associato al nostro punto di vista e aggiungerei a quello che vorremmo che gli altri condividessero. Ma al tempo stesso mi domando se valeva la pena scomodare Husserl per parlare di Andrea Diprè, uno degli ultimi “fenomeni” televisivi contemporanei. Imbonitore, massacratore mediatico di giornalisti e critici d’arte, sostenitore della comunicazione di massa. Nelle sue “mani” (o meglio attraverso le sue parole) le classiche “sole” diventano capolavori in quanto sostiene che è la comunicazione quella che conta non il prodotto. È un punto di vista dal quale ovviamente prendo le distanze. Nella trasmissione televisiva “Mi manda Raitre” (un programma chiuso a novembre del 2011 per assenza di telespettatori), il Diprè fu invitato da Edoardo Camurri, conduttore del programma, per tentare di dare ai telespettatori una spiegazione sul  fenomeno del “successo” delle sue teorie; egli sostiene infatti che odia la retorica, il monumentalismo e l’accademismo e ciò gli serve affinché gli “artisti” con fiducia possano avvicinarlo. Si fanno intervistare, vengono messi in onda i loro quadri (a pagamento ovviamente ma questo lui non lo dice), e di colpo i  quadri salgono di prezzo, vengono conosciuti nei 15 minuti di messa in onda televisiva, in tutta l’Italia. L’aggressione verbale ad Achille Bonito Oliva, nel corso della trasmissione “Mi manda raitre”, sembra che abbia avuto effetti notevoli. Me ne parlava con toni enfatici uno dei tanti pittori della domenica che incontro per lavoro. Certo mi rendo conto che aggettivi come: strepitoso, da urlo, straordinario, enorme, magico, meraviglioso, geniale, ineguagliabile, tutti attributi usati da imbonitori televisivi per decantare inqualificabili schifezze possano avere una certa presa su sprovveduti acquirenti della notte. Rimbecilliti hikikomori vagano da un canale all’altro alla ricerca di opere e oggetti “marca braccio” per chissà quali investimenti. Perché sia chiaro solo raramente “passa” qualche ottimo lavoro a prezzi, è il caso di dirlo, “da urlo”. Ma la questione non riguarda i nottambuli, loro sono le vittime designate. Vengono scelte con cura. Sono soggetti fuori dal sistema dell’arte, outsider come gli artisti. È proprio il caso di dirlo: Dio fa gli uomini e fra di loro si accoppiano. Solo lo stolto può credere che uno stolto è normale. Questa realtà fenomenologica viene applicata costantemente a qualsiasi problema a prescindere dalla latitudine. Attualmente, se volessimo fare un’analisi del linguaggio che viene utilizzato per vendere arte o pentole, ci accorgeremmo che non si distanzia di molto. Per un venditore (il cui vocabolario deve contenere solo parole “povere”) chiunque esso sia, un materasso, una valigia o un quadro, vengono presentati con le stesse parole: “indispensabile, comodo, toglie i problemi, evita lo stress ma, soprattutto, è sempre un investimento. Catecumeni notturni spesso si ritrovano in gruppi per ascoltare in pullman o in albergo le magnificenze di un tappeto o di un set di pentole. Ma se fin qui la questione può essere di carattere generale e, di conseguenza, la spesa è sempre contenuta nell’ambito di qualche centinaio di euro quando il problema investe l’arte, o meglio il cosiddetto quadro d’autore, la situazione si fa più critica che mai. È in atto una campagna – proveniente dall’est – tendente a screditare quanto di valido è stato “costruito” nell’ultimo secolo in merito all’arte contemporanea. L’attacco in questo senso di Diprè al mondo dell’arte, con suoi freak e i suoi  irregolari o outsider e disadattati e chi più ne ha più ne metta, diventa qualcosa di simile al dilettantismo, gli atteggiamenti di tipo sgarbistico serviranno a poco, verrà arrotato miseramente da una comunicazione transoceanica senza precedenti. Bisognerà guardarsi dall’enorme potenza penetrativa cinese.
In un precedente articolo – Palermo-Lussemburgo – abbiamo trattato l’argomento, ma la questione su ciò che sta accadendo in termini fenomenologici è qualcosa che non ha solo a che fare con l’arte ma punta all’egemonia sul sistema economico passando per l’arte. A poco servirà sapere che tra i primi dieci artisti nel mondo i record d’asta appartengono ad artisti americani (con 7opere), a inglesi (con 2 opere), e francesi (con 1 opera). Il sistema che è in atto riguarda una teoria che non riuscì a mettere in pratica Andy Warhol. Egli sosteneva che l‘arte doveva essere “consumata” come un qualsiasi prodotto commerciale e quindi messa negli scaffali dei supermercati ribadendo che chiunque poteva portarsela via a prezzi modici. Esattamente come per la coca cola. L’arte quindi come prodotto di massa e non più elitaria come abbiamo sempre pensato che sia. Giorni fa ad Agrigento, Paolo Schiavocampo ribadiva il concetto, che condivido, secondo cui l’arte invece deve essere elitaria, deve essere un prodotto di nicchia senza falsa democrazia. L’arte deve riprendersi il suo spazio lasciando che altri producano ciò che servirà per reclamizzare biscotti per cani o latte per bebè o “parmigiano” made in Palma così come il “vino nobile” di Pechino. Personalmente non ho difficoltà a credere che i cinesi sono capaci di costruire un’autostrada laddove il giorno prima c’era un villaggio o chissà quale altra “magia” costruttiva. Ma la questione non è questa. La cultura non si costruisce come una strada o un ponte e i cinesi lo sanno. La loro è una cultura millenaria ma in questo momento hanno bisogno di bruciare le tappe, di fare prima di chiunque altro, hanno necessità di immettere sul mercato dell’arte “materiale veloce da realizzare: stampe, fotografie, fotoserigrafie, riproduzioni su finta seta cinese, dipinti informali su tela etc. Basterà per invadere il mercato mondiale dell’arte? Ho paura di sì se non si interviene energicamente, per evitare di subire un secondo scacco. Il primo, come è noto, rivoluzionò il sistema dell’arte europea. Il secondo potrebbe influenzare l’intero pianeta. Basti pensare che ai cinesi basterebbe far diventare quadri i loro ideogrammi.
Sono talmente belli, prescindendo dai loro significati, che forse non sarebbe neanche una cattiva idea.>>

Palermo 8 ottobre 2012                  Francesco M. Scorsone

Sergio Figuccia

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